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Parliamone Insieme

Letture segnalate da soci SeLALUNA

Questo spazio contiene le segnalazioni, pervenute da soci, delle letture di prosa o poesia che ciascuno ha fatto e ritiene tali da essere consigliate agli altri soci. 
Perché segnalare un libro? Perché lo vogliamo raccomandare come una occasione della mente e del cuore, perché vorremmo capirlo meglio in compagnia, per arricchire di nuovi sguardi e prospettive le tematiche in esso contenute. 
A tal fine stendiamo una breve recensione del testo letto citando il titolo, l’autore, la casa editrice, il prezzo, ma soprattutto dicendo, con semplicità e anche brevemente, cosa contiene, cosa ci ha detto, perché lo proponiamo. 
La parola “parliamone” indica l’augurio che si vada oltre la segnalazione, verso una discussione fra noi, che potrà essere tenuta - inizialmente - solo in video conferenza, vista l’impossibilità di trovarci in gruppo. Tutti potranno leggere e lasciarsi… contagiare da idee, sensazioni, domande altrui, oltre a esporre le proprie.

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Per ulteriori informazioni, contattare il responsabile di settore: Gigi Furlanetto  gigifurlanetto@libero.it

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MILLE SPLENDIDI SOLI
di Khaled Hosseini
Piemme Edizioni, 2014

I recenti fatti relativi all’Afghanistan, le cose terribili che abbiamo letto sui giornali, visto e sentito alla televisione, mi hanno rimandato indietro a letture lontane che avevo molto apprezzato. 
Questo a conferma del potere della letteratura che, portando il lettore dentro le vite vere o immaginate degli altri, lo introduce anche alla Storia che, grazie al racconto, si popola di esistenze. Succede che il mondo magico di una bella narrazione, se debitamente inserita nel contesto sociale del paese in cui è ambientata, lasci segni che nel tempo ritornano. È proprio seguendo questi ritorni che ho ripreso in mano Mille splendidi soli di Khaled Hosseini, pubblicato nel 2007. Di nuovo il raccontare ricco e incalzante mi ha coinvolta e di nuovo ha suscitato la forte tensione emotiva che ricordavo.
L’autore, nato a Kabul nel 1965, dopo aver ottenuto asilo politico negli Stati Uniti nel 1980, si è stabilito a San José in California, dove vive con la famiglia. Dopo la laurea in medicina, l’amore per Il suo paese lo ha portato anche alla scrittura del primo libro, Il cacciatore di aquiloni (2004), pubblicato in diverse parti del mondo e accolto da un successo straordinario. 
Il romanzo successivo, Mille splendidi soli, che ha come protagoniste due donne, Mariam e Laila, ha riscosso gli stessi consensi entusiasti.
Mariam è una harami, vale a dire nata fuori dal matrimonio, figlia di un uomo che ha già tre mogli e dieci figli e che non intende riconoscerla. Il suo destino è senza alternative: accettare il matrimonio imposto con un marito anziano cui fare da serva e rinunciare a qualunque minima possibilità di crescita personale. Il padre, che pure le vuole bene, succube del costume vigente e privo di coraggio, la consegna in sposa a Rashid, l’uomo che le infligge maltrattamenti insopportabili, fisici e psicologici. E Mariam non può che subire.
Laila invece è una ragazza istruita, viene da una famiglia colta e vive esperienze di maggiore apertura, ma questo non le risparmia l’imposizione del matrimonio con lo stesso Rashid, cui non dispiace affatto una presenza più giovane per soddisfare ogni suo bisogno.
Le due donne necessariamente convivono e attorno a loro ruotano numerosi e vari personaggi, figlie e figli compresi. Teatro delle vicende sono Herat, Kabul, il Pakistan e ancora Kabul, sulla base dei corsi e dei ricorsi della storia.
È devastante la condizione che entrambe sono costrette ad accettare, ma non diversa da quella delle altre afghane. Sopportano l’imposizione del burka, l’obbligo di restare tra le mura domestiche e di uscire solo se accompagnate da un uomo, il rispetto di una religione invasiva che giustifica ogni nefandezza maschile, l’ignoranza considerata prerogativa della condizione femminile e tutto quanto conosciamo e che, se disatteso, comporta pene, castighi e menomazioni conseguenza di botte “educative” che non sono mai risparmiate.
La solidarietà nasce e cresce tra le due donne proprio in seguito allo stato di condivisione dello stesso insopportabile marito, gretto e violento nelle sue ire e nelle sue dolorose e gratuite punizioni. È una solidarietà che richiede tempi lunghi, passa per una normale reciproca diffidenza, si nutre della ripetitività di gesti familiari imposti ad entrambe, si evolve lentamente fino a trasformarsi in un rapporto di profondo affetto e in una reciproca programmata difesa contro il potere del padrone. Rientra nei loro progetti anche un tentativo di fuga con conseguenze molto pesanti per entrambe.
Tutta la storia, talmente ricca e articolata, sfugge a qualunque sintesi. Il libro va letto e riletto per la sua ricchezza narrativa e per una sentita vicinanza alla storia dolente delle donne afghane.

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Mariantonietta Mariotti

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L'ESTATE FREDDA
di Gianrico Carofiglio

Einaudi, 2020

L’estate fredda di Gianrico Carofiglio è un libro importante. Racconta, con la struttura del romanzo, un periodo della vita italiana, gli anni novanta, in cui la mafia ha operato in maniera continuata e pesante, commettendo i delitti più efferati e infiltrandosi in ambiti diversi e talvolta insospettabili della società.
Nella pagina conclusiva del libro l’autore sembra voglia suggerire una chiave interpretativa della sua narrazione, proponendo l’elenco dei morti dell’attentato di Capaci del maggio 1992 e dell’attentato di Palermo del luglio dello stesso anno in via d’Amelio.
Chiude le citazioni sottolineando che, nonostante la dimensione dei disastri compiuti, i membri della cupola di Cosa Nostra e gli esecutori materiali delle stragi sono stati tutti individuati e condannati con sentenze irrevocabili.
Il romanzo, ambientato a Bari, si inserisce in un contesto simile di vicende terribili, ma anche di lotta per la ricerca della verità, condotta con tenacia e andata a segno.
Il racconto si avvia con il rapimento e l’uccisione di un bambino, figlio di un capo mafioso. 
Di questo deve occuparsi il maresciallo Pietro Fenoglio, nella piena consapevolezza del suo difficile compito e del ruolo determinante dell’incarico. 
Mentre le organizzazioni mafiose superano ogni limite, Fenoglio capisce che, per porre un argine al loro operare, gli è necessario infilarsi dentro gli ambiti criminali, capirne la logica e acquisire gli strumenti necessari a fermare i colpevoli. Ci vogliono sangue freddo, intelligenza e soprattutto conoscenza di certi ambienti per ricercarvi i giusti contatti e utilizzarli.
L’appiglio gli viene offerto da un boss, fortemente indiziato, che è spinto da un suo interesse personale ad offrire collaborazione. 
Fenoglio ne è consapevole e sa fargli raccontare molte cose, non sufficienti, però, a chiarire i nodi di un delitto aberrante come il rapimento e l’uccisione di un bambino.
Intuisce lo svilupparsi degli eventi, ma gli servono certezze e, per trovarle, si inoltra ancora più a fondo fra le famiglie mafiose e con perseveranza arriva a quello che non avrebbe pensato possibile. Riesce, infatti, a individuare qualche addetto alle forze dell’ordine, che, lusingato dalla possibilità di guadagni ingenti, si è lasciato irretire in un giro di droga e mafia.
Il compito più difficile per lui diventa quello di trasformare i suoi sospetti in prove e quindi avere in mano la possibilità di smascherare e punire i delinquenti. Naturalmente ci riesce, molto per abilità, ma anche per una felice casualità, come spesso accade.
Una nota conclusiva: non sono una lettrice abituale di questo genere letterario, ma apprezzo la capacità dello scrittore di mettere a fuoco fatti e persone, grazie al ruolo di magistrato esercitato a lungo. Si possono immaginare riferimenti legati ai suoi incarichi di pretore a Prato, poi di pubblico ministero a Foggia e infine di sostituto procuratore alla Direzione Distrettuale Antimafia a Bari.
Quando lascia la magistratura per dedicarsi al lavoro più recente, dichiara che nella sua vita è stato spinto sempre da una forte passione per la ricerca della verità. 
I suoi libri ne danno ulteriore testimonianza.

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Mariantonietta Mariotti

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IL SOCCOMBENTE
di Thomas Bernhard

Adelphi - gli Adelphi 1999, Adelphi eBook 2012

Il testo sembra la narrazione dei rapporti fra un perdente (Wertheimer), un rinunciante (il narratore) e un genio (Glenn Gould) del piano. Anche i primi due sono eccezionalmente dotati, ma la genialità del terzo li allontana immediatamente non solo dalla strada del virtuosismo pianistico, ma dallo stesso pianoforte. Il narratore non sembra distrutto dalla rinuncia, ma Wertheimer ne è ridotto alla consunzione psichica fino al suicidio. L’infelicità, la differenza, la tenuta esistenziale e i loro rapporti, la loro naturalità sono temi dominanti del lunghissimo monologo, che presentifica tutto (pensai.. io penso…) nell’attualità del pensiero.
In generale mi pare che non sia una lettura raccomandabile in un clima di buona educazione, di graziosità sociale, di ottimismo anche critico. Però ciò di cui parla c’è. Il rischio è che venga servito, anch’esso, nel salotto buono e sia piegato a prestarsi alla mutua rassicurazione. E’ un testo antipatico, senza riguardi per noi (chi siamo? Wertheimer, Gould, l’autore, nessuno di loro), ma forse anche atteso nel segreto desiderio di smetterla con le buone maniere, in cambio di qualcosa di solido, qualsiasi essa sia. 
Vi propongo di leggerlo, se lo farete, come fosse pe metà scrittura consapevole e per l’altra metà l’eco di una mancanza e, per questo, ombra-proiezione-presagio (lo sa lo scrittore?) di quel qualcosa che è non solo desiderato ma fondo luminoso, assente nella superficie della scrittura. 
Una seconda lettura mi spinge a sottolineare la forza responsabile con cui l’autore (che non mi pare solo l’io narrante ma la sintesi fra questi e l’essere scrittore) non si preoccupa di  schiaffeggiarci, posto che ne abbia mai avuto l’intenzione (noi infatti non siamo gli odiati austriaci); credo anche che avrebbe riso di parole come queste: non per questo me ne sarei pentito, né lo faccio adesso.

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Gigi Furlanetto

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LA DISCIPLINA DI PENELOPE 
di Gianrico Carofiglio
Mondadori, 2021

Gianrico Carofiglio, in questo romanzo, tratteggia la figura di una donna, Penelope e la propone al lettore con tutte le sfaccettature di un’analisi psicologica che è ricerca attenta di atteggiamenti, di comportamenti e di reazioni secondo un’ottica molto femminile. 
Afferma infatti, in un’intervista, di avere messo tutto il suo ingegno per entrare nell’animo e nel pensiero della protagonista. Vale a dire, semplificando, di essersi calato nei panni di una donna. Ci è riuscito. Penelope è un ex pubblico ministero che ha lasciato il lavoro in seguito ad un incidente misterioso di cui non è dato sapere. Di fronte alla richiesta di un uomo, indagato per l’omicidio della moglie, ma libero grazie ad un’archiviazione per mancanza di prove, decide di occuparsi privatamente del caso, visto il desiderio del presunto colpevole di voler dimostrare alla sua bambina, quando sarà diventata grande, che il papà è innocente.
Si tratta di un giallo di cui non svelo, naturalmente, lo svolgersi dei fatti, scelgo piuttosto di richiamare l’attenzione sullo stile così accattivante e incisivo da bloccare il lettore sul libro, rendendogli difficile chiuderlo.
Penelope è una donna libera, anticonformista, autonoma, dotata di grande generosità e di forte motivazione professionale di cui mantiene l’impronta, anche quando il lavoro non c’è più. 
Se ha molte doti, non le mancano però i difetti, ne è consapevole e se li gestisce con qualche rimorso e con proponimenti di non ricascarci. Se poi l’impegno non viene mantenuto, senza troppi problemi, prosegue per la sua strada, in compagnia dei suoi difetti.
Le esperienze, acquisite da Carofiglio nella precedente professione di magistrato, confermano familiarità con la materia e aggiungono qualità al suo lavoro.
C’è una frase che voglio riportare, indicandola come chiave interpretativa di tutta la narrazione e suggerendo di coglierne il significato proprio attraverso le pagine del libro in cui è inserita: 
“Il maschile è la categoria predefinita, il criterio fondamentale di lettura del mondo. Dunque la causa fondamentale della cattiva comprensione del mondo. Si tratti di questioni fondamentali, si tratti di cose della vita quotidiana”.

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Mariantonietta Mariotti

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NON FATEVI RUBARE LA VITA
di José «Pepe» Mujica

Editore Castelvecchi

José Alberto Mujica Cordano, nato a Montevideo il 20 maggio 1935, è un politico uruguaiano, conosciuto pubblicamente come Pepe Mujica, Senatore della Repubblica e capo dello Stato dal 2010 al 2015. Ha combattuto contro la dittatura militare e per lunghi  anni è rimasto in carcere dove  si è messo  a leggere libri su libri, scoprendo  e avvicinando  alla sua intraprendente vita militante, un impegno culturale. "E' nella battaglia dei valori culturali che risiede la forza di un sistema." Oggi vive in una piccola fattoria a Rincón del Cerro, alla periferia di Montevideo.«Non fatevi rubare la vita»: questo invito di Mujica esprime in modo efficace uno dei capisaldi del suo pensiero e della sua critica al sistema dominante. Un fermo ammonimento attraversa le sue parole quando raccomanda ai giovani di non sprecare il tempo della loro esistenza, di non farsi derubare dalle campagne di marketing o accecare dalle nuove tecnologie che non lasciano tempo al pensiero, né al raccoglimento. Mujica interviene sui temi più roventi della nostra epoca: dalla questione ecologica ai migranti, dal proliferare della corruzione all'avanzare dei nazionalismi xenofobi, alla globalizzazione. Al cuore dei suoi discorsi risuona un messaggio al tempo stesso semplice e profondo: tutti siamo responsabili nei confronti della nostra vita e, proprio per questo, dobbiamo prendercene cura. «Si tratta di una bellissima causa: l'amore per la vita».Lo stile narrativo è semplice, con  un linguaggio  e un lessico appropriati che permettono  la piena comprensione degli argomenti trattati, suddivisi in 26 snelli capitoletti.

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Giorgio Sartori

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L’AVVOCATO DI STRADA
di John Grisham

Oscar Mondadori - prima stampa 1998

Un noto Avvocato Michael Brock lavora da circa sette anni in un prestigioso Studio: la Drake & Sweeney che ha varie sedi in America. E’ una persona talmente impegnata e di corsa che non perde tempo per cose poco importanti, poiché il suo interesse per la carriera e relativo guadagno, non gli danno spazio per null’altro.
Anche con la moglie iniziano i disaccordi. Un giorno però, un barbone riesce a entrare nel suo studio e avendo una pistola in mano, tiene in ostaggio alcuni Avvocati. Vuole essere chiamato Mister, ma non si capisce la motivazione di quel gesto, . L’intervento della Polizia riesce ad uccidere questa persona e lascia Michael davvero sconvolto
Non si sente in pace con se stesso e vuole andare a fondo della situazione.
Riesce a impossessarsi della cartella con i documenti. Viene così a conoscere la storia di molti homeless che sono stati cacciati via da un magazzino abbandonato dove vivevano, da un giorno all’altro, senza alcun preavviso, anche se pagavano un affitto mensile, doverosamente in nero.
Si tratta di un affare illecito e scandaloso e non sarà semplice trovare il modo di querelare la Drake & Sweeney, poiché ormai è diventata una potenza nel vero senso della parola. 
Dopo varie vicissitudini, dove riesce a toccare con mano le situazioni di  incredibili povertà, Michel decide che può vivere ugualmente anche senza lo stipendio facoltoso dello Studio per diventare l’Avvocato dei “senza fissa dimora.” Vuole difendere gli homeless a tutti i costi e vuole andare fino in fondo, nonostante preveda che sarà una dura e difficile battaglia.
Gli scontri non sono mancati con gli ex Dirigenti Avvocati dello Studio, e quando finalmente riescono a trovare un accordo tra le parti, un ex collega crea un’opportunità inaspettata e di grande valore morale.

Sbagliare è umano, ma sentirsi forti e imbattibili nell’ingiustizia è deplorevole.  Volendo c’è sempre un modo per rimediare.

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Gina Durigon

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BORGO SUD
di Donatella Di Pietrantonio

Einaudi, 2020

Donatella Di Pietrantonio vive a Penne in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Questa è la breve annotazione riportata nei suoi libri. Sono invece i suoi romanzi a raccontarci molto di più di questa bella persona, “prestata” alla letteratura.
Nella postfazione del suo Bella mia si trova il racconto di chi, come lei, residente a Penne, nell’Appennino abruzzese, alle 3.31 del 6 aprile 2009, ha vissuto l’esperienza del terremoto che ha distrutto l’Aquila. Non ha prodotto danni tangibili nel suo paese, ma psicologicamente le ha lasciato segni indelebili, come non è difficile immaginare.
Dichiara infatti che, a distanza di tempo, ha sentito la forte “urgenza” di narrare storie che lavorassero sul lutto, su situazioni difficili e sulla necessità di trasformare il dolore in qualcosa di positivo. In sintesi, ha scoperto il ruolo salvifico della scrittura.
Ho imparato a conoscere la Dipietrantonio grazie al suo libro L’Arminuta, la storia di una bambina ritornata, questo il senso della parola, restituita dai genitori adottivi ai suoi genitori naturali. Il cambio è traumatico e questo passaggio con la sua evoluzione è esposto con tale maestria da lasciare un ricordo indelebile. E lo ha lasciato anche a me. Mi sono affrettata, infatti, a leggere in questi giorni il suo ultimo lavoro, Borgo Sud, che molto ha in comune con i precedenti. 
Rimangono l’ambientazione abruzzese, i personaggi femminili tratteggiati con una connotazione molto particolare e resi vivi da uno stile inconfondibile che scava con abilità nei pensieri più intimi e profondi, suscitando nel lettore forte tensione emotiva e sollecitandone l’immaginazione.
Quando le vicende si intrecciano e si complicano, arrivano anche il lampo di genio e la ricerca di vie d’uscita, caratteristica cui la scrittrice non rinuncia. Risulta infatti evidente, in tutti i suoi lavori, la necessità di rispondere agli eventi, anche a quelli più duri, con una la ricerca tenace di soluzioni.
Le protagoniste di Borgo Sud sono due sorelle, vissute in una situazione familiare difficile, private di stimoli e di aiuti a favorirne uno sviluppo armonico, da genitori inadeguati e anaffettivi.
Crescono prendendo strade molto diverse, una, grazie allo studio, si affranca e si costruisce una professione, l’altra vive alla giornata e di espedienti. Eppure il destino le porta a ritrovarsi, la vita gradatamente le riavvicina facendo loro scoprire un legame profondo e capace di creare un nuovo rapporto di intesa e di condivisione.
Le vicende, così raccontate, possono sembrare piuttosto banali, ma la narrazione della scrittrice ha la potenza di trasformarle, di riempirle di valori e significati, di renderle straordinarie.
L’inserimento in un borgo di pescatori poveri, ma capaci di rapporti solidi e portatori di solidarietà e di amicizia nel senso più pieno e ricco del termine, contribuisce a creare l’ambiente ideale per una storia ricca e avvincente di cui consiglio la lettura.

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Mariantonietta Mariotti
 

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TERRAFUTURA
di Carlo Petrini

Edizioni Giunti - Slow Food - Collana: Terra Futura, 2020

 

I ricavi del libro saranno destinati alla creazione di un Centro studi internazionale - ad Amatrice - dedicato all’Ecologia integrale, chiamato "Casa Futuro - Centro  Studi Laudato si’".

Il 2015 è stato un anno fondamentale nel Pontificato di Papa Bergoglio perché, con l’Enciclica Laudato si’, ha indicato chiaramente l’urgenza di affrontare il rapporto Uomo-Natura secondo una visione integrata: un’economia mondiale più equa deve ridurre sensibilmente il degrado ambientale, la povertà e l’esclusione.
In questo libro “ TERRAFUTURA” edito da Giunti - Slow Food settembre 2020, l’autore Carlo Petrini e Papa Francesco dialogano tra loro,  nel corso di tre incontri condotti con uno stile fluido, ironico, amicale, ma schietto. Carlo (soprannominato Carlìn e fondatore di Slow Food) afferma nell’introduzione: “Siamo due persone con storie e vissuti estremamente diversi, eppure ci siamo riconosciuti in fretta. Un agnostico e un Papa, un ex comunista e un cattolico, un italiano e un argentino, un gastronomo e un teologo”.
Il primo dialogo avviene  nel 2018, quando –  dopo il terremoto che nel 2016 che ha danneggiato ambienti e persone in molte aree del Centro Italia -, si formavano in modo spontaneo e capillare in Italia le ComunitaÌ€ Laudato si’, gruppi di cittadini che operano nello spirito dell’Enciclica e di Francesco d’Assisi, senza limitazioni di credo, orientamento politico, nazionalitaÌ€, estrazione sociale. Vari sono i temi trattati, in particolare proprio il concetto di “Dialogo come metodo prima di tutto umano. Non si tratta dunque di appiattire le differenze e i conflitti, ma al contrario di esaltarli e nello stesso tempo superarli per un bene superiore”. Nel dialogo tra persone la parola chiave è “onestà”. 
Il secondo dialogo è del luglio 2019, pochi mesi prima del Sinodo Panamazzonico dei Vescovi degli otto Paesi in cui eÌ€ compresa l’Amazzonia, dove sono piuÌ€ che mai in pericolo sia l’ecosistema, sia i popoli indigeni che la abitano e la rispettano. Molti e importanti saranno i temi che il Sinodo affronterà nell’ottobre 2019:  ambiente ,biodiversità, rapporti sociali, migrazioni, equità ed uguaglianza. E’ pure valorizzata la nuova partecipazione dei giovani alle problematiche dei cambiamenti climatici (Greta Thunberg); il papa e Petrini colgono i lati positivi dei movimenti giovanili per risvegliare nella società degli adulti l’interesse e l’urgenza di guardare in una nuova ottica i rapporti tra Uomo e Ambiente.
 Il terzo, recentissimo, si eÌ€ svolto nel luglio 2020 durante la pandemia mondiale provocata dal Covid-19, quando l’umanitaÌ€, utilizzando le parole di Papa Francesco, eÌ€ “calpestata da questo virus e da tanti virus che noi abbiamo fatto crescere. Sono virus ingiusti: un’economia di mercato selvaggia, un’ingiustizia sociale violenta”. “Bisogna passare -afferma Bergoglio - dalla Teologia della prosperità ancorata alla concezione del liberalismo economico alla Teologia della povertà”.
Nei tre dialoghi e nelle cinque sezioni tematiche (curate da Petrini) che completano il volume – biodiversitaÌ€, economia, migrazioni, educazione, comunitaÌ€ - Petrini e Papa Francesco avanzano proposte concrete da mettere in opera fin da subito, nella vita quotidiana e nella riflessione politica come in quella religiosa.
Ecologia integrale (come sintesi vitale tra esseri umani e ambiente) contro la “cultura dello scarto”, globalizzazione poliedrica, vita comunitaria, decentramento per valorizzare le periferie: intorno a questi temi si sviluppano  le analisi radicali e inequivocabili di entrambi, a partire dalla denuncia della miseria e della fame a cui sono condannati milioni di persone.
Nella sezione - Economia - Petrini richiama le parole del Papa: “oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e dell’inequitaÌ€. Questa economia uccide” e avanza una proposta molto impegnativa che ribalta le nostre categorie mentali e i nostri comportamenti: bisogna passare dall’homo oeconomicus (John Stuart Mill) all’Homo comunitarius, orientato dalla solidarietà e non più dalla competizione. Un nuovo modo di intendere l’economia, un nuovo protagonismo dei popoli. No ai populismi, che siano essi politici, culturali o religiosi. SiÌ€ ai popolarismi, dove i popoli crescono, si esprimono ognuno con le caratteristiche proprie e in comunitaÌ€. No al settarismo religioso.
E’ un libro, pertanto, che ha un respiro ampio e dà la possibilità per approfondimenti a livello singolo e di gruppo, con una spinta propositiva verso un futuro migliore  per l’uomo e l’ambiente. Su alcune proposte si può anche non concordare ma la dialettica, la discussione e il confronto di idee sono fondamentali per qualsiasi progresso  della società. Anche qui ritornano le parole di Francesco:” la Chiesa è andata avanti grazie agli strappi, agli slanci in avanti. In certi momenti storici si sono proposti slanci coraggiosi che sparigliavano le carte e generavano accese discussioni(…) C’è bisogno di accendere discussioni fertili e proficue, c’è bisogno di mettere in circolo energie e idee”.


Giorgio Sartori

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GRIDALO
di Roberto Saviano

Editore Bompiani, 2000

GRIDALO di Roberto Saviano è un grande libro: 531 pagine ricche di storie che lo scrittore, di fronte all’ingresso del Liceo che ha frequentato, immagina di raccontare ad un sé stesso ragazzo. 
Sono storie di persone che, in periodi diversi e spesso molto lontani, hanno condiviso la capacità di mantenere intatti principi di onestà intellettuale, ideali di solidarietà, difesa di diritti inalienabili. Tutte, in vari modi, dimostrano come si possa dare un senso alla propria vita rifiutando l’ingiustizia e la prepotenza e battendosi contro ogni sopruso. E spesso pagando a caro prezzo le proprie scelte. Molti gridano al mondo di avere scoperto la manipolazione dei poteri forti e la propaganda falsa e invasiva, urlano quello che succede nei paesi in cui pensare liberamente non è consentito, denunciano per salvare gli altri e per salvarsi, convinti che salvarsi da soli sia un nonsenso.
Di fronte alla statua di Giordano Bruno, spogliato sulla pubblica piazza e arso vivo in Campo de’ Fiori a Roma, lo scrittore alza gli occhi e immagina di sentirne la voce: “Guarda che cosa succede ad un uomo che parla!”. E proprio in nome della parola nasce questo libro. La stessa parola che, raccontando la storia di Martin Luther King, diventa invito per tutti e per ciascuno a difendere sempre e comunque la verità e la giustizia. Questo ha fatto in tempi recenti la giornalista Daphne Caruana Galizia quando ripetutamente denunciava che Malta, la sua isola, da scoglio arretrato del Mediterraneo si era trasformata in un paradiso fiscale. Ha pagato con la vita il suo amore per la verità, ma lo ha trasmesso ai suoi tre figli che si battono per quella verità che la madre pretendeva.
GRIDALO è, a suo modo, un libro autobiografico: il lettore ritrova Saviano nella vita dei molti protagonisti, nel loro modo di essere, nella loro integrità morale. Lo trova anche inserito in una lista di nomi compilata da così detti odiatori che mettono insieme ebrei, neri, disabili, omosessuali, pacifisti, ambientalisti, nomi di persone da prendere di mira. È questo il caso in cui denunciare diventa indispensabile e lui lo fa perché la sua coerenza va portata fino in fondo, anche se il prezzo da pagare è altissimo. La libertà, in cui crede fortemente, gli è negata e la necessaria scorta non è certo la compagnia di un uomo libero.
Se la speranza del ragazzo che esce da scuola con la vita davanti non ha trovato risposte, resta nell’adulto la certezza di appartenere, a buon diritto, a quella categoria di persone che nella loro esistenza niente hanno di cui vergognarsi. È questa la consegna per il lettore: “Quello che potevo darti è tutto qui, in questo libro, nelle sue parole. Nelle mie parole. Nelle parole di chi ha compreso che la felicità o è collettiva o non è, che il benessere o è collettivo o non è, che la libertà o è di tutti o non è.”
In recenti interviste l’autore ha dichiarato che, se dovesse tornare indietro, non rifarebbe ciò che ha fatto, suppongo, forse, perché la condivisione e la collaborazione in cui sperava sono mancate. 
La voce di Saviano, però, continua ad essere indispensabile e preziosa. Diventa addirittura straziante in uno degli ultimi racconti, quello in cui ricorda i ragazzi Gloria e Marco: entrambi hanno raggiunto un titolo di studio voluto con forte interesse e finalizzato ad un conseguente lavoro che l’Italia non è stata capace di offrire. Si trasferiscono insieme a Londra dove trovano subito risposte all’altezza dei loro desideri, lavorano, si sentono realizzati, sono felici. 
Solo poco tempo dopo, l’incendio della Grenfell Tower, dove abitavano, stronca nel modo più atroce i loro sogni, gli stessi che tanti giovani più fortunati continuano a cercare in altrettanti altrove.
Il libro si chiude con parole che sono quasi una richiesta di aiuto, di sostegno e di collaborazione per modificare lo stato delle cose: “Gridalo che non vale la pena vivere a queste condizioni. Gridalo che tutto deve cambiare”.


Mariantonietta Mariotti

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RIDOTTA ISABELLE
di Antonio Cocco
Terre di Mezzo, 2018

Antonio Cocco, per gli amici Toni, è un ragazzo come tanti suoi coetanei e compagni. Non accetta però le regole dell’Istituto Superiore e tantomeno certi Professori. Dopo aver preso un brutto voto per una interrogazione andata male, decide di scappare di casa, così, con un amico, piuttosto di tornare a scuola per altri venti giorni. 
Siamo nel 1952 e Toni ha quasi 20 anni.
Con questa voglia di libertà e indipendenza, forse anche di orgoglio, ha dovuto affrontare le esperienze più impensabili. Inizia con il trovarsi in Francia come clandestino e in un certo senso obbligato ad arruolarsi nella Legione Straniera per evitare il carcere. L’addestramento però è davvero feroce e le violenze sono insopportabili. Forse capisce di aver sbagliato, ma la decisione è stata presa, è irrevocabile. 
Con la guerra in Indocina viene spedito in prima linea.
La vita è veramente dura e sta male. Ricoverato in Ospedale per alcuni giorni è come una fortuna. Riesce a mandare quasi ogni giorno lettere alla sua famiglia, descrivendo la situazione difficile e sempre più pericolosa, poiché devono continuamente spostarsi e a volte non sanno neanche dove.
La lunghissima battaglia del Vietnam non si fa aspettare.
“Qui dovremmo frenare l’offensiva dei Viet, la stessa cosa che a Laos”. 
“Ho passato il secondo Natale e primo d’anno in operazione, puoi immaginare come è stato invidiabile”.
Che vita è questa!?  Antonio doveva ricevere una promozione a Caporale, l’aspettava... ma non ha fatto in tempo a riceverla.

Questo libro è un’esperienza di “vita vissuta in condizioni estreme”. Lascia nel cuore una domanda che non trova risposta. Perché la guerra?  Siamo tutte persone. Forse, volendo conoscere e controllare tutto, oggi, stiamo perdendo il vero significato della parola “Amore”.
Ancora fa pensare ai giovani d’oggi e di altre generazioni che di fronte ad un fallimento o presunto tale, fanno scelte impossibili e irrazionali di cui si possono pentire amaramente, e causano, talvolta, purtroppo, tragedie irreparabili.  Il dialogo e l’ascolto, dunque, tra generazioni rimangono sempre un validissimo contributo alla formazione di ogni persona.


Gina Durigon

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LE LUCI NELLE CASE DEGLI ALTRI
di Chiara Gamberale
Mondadori, 2010

Mandorla è la bambina felice di una ragazza madre piena di fantasia. Maria, la mamma, lavora come amministratrice d'immobili per una società. Maria, dopo un passato vissuto cambiando continuamente  casa  per particolari esigenze professionali imposte dal suo datore di lavoro, da anni si è stabilita definitivamente in un condominio sito in via Grotta perfetta 315, dove ha contribuito a costituire una vera e proprio comunità. Perché Maria oltre ad essere un ottimo professionista sa mettere la sua estrosità e la sua empatia al servizio della gente.  Maria è l’anima della piccola comunità. Una comunità molto variegata, persino improbabile. Un dirigente rigido e dai saldi principi con moglie sodale e conformata, figlio belloccio e intelligente e una figlia ribelle; una zitella dolce, che vive sola e che parla di notte coi propri amici e parenti; un regista che rincorre continuamente il documentario che lo renderà famoso e vive con la propria compagna Caterina, avvocato con uno studio ben avviato; uno scrittore dai propositi altrettanto velleitari in conflitto perenne con la moglie; infine una copia di Omosessuali. Maria, adorata da tutti, riferimento costante, amica affettuosa e creativa,  muore.  Un incidente col motorino la porta via a tutti ma soprattutto a Mandorla, che ha solo sei anni e rimane, non avendo nessun altro legame parentale,  sola al mondo. La bambina è un cruccio per tutti, il suo destino non è, ne limpido ne felice, che cosa sarà di lei?
Una svolta decisiva è determinata dalla comparsa di una lettera di Maria alla figlia in cui si scopre che la bambina è stata concepita proprio lì, nel lavatoio di quel  condominio durante un incontro clandestino, che dalle parole della lettera stessa risulta essere stato vissuto con uno degli uomini del palazzo.
Rivelazione sconvolgente e inquietante. Uno dei maschi del palazzo è quindi il padre di Mandorla. La comunità decide così, di farsi carico del problema, tendo la bambina con loro e di adottarla in gruppo. Ufficialmente sarà la vecchia signorina Polidoro, che è sola, che le farà da mamma  ma la bambina sarà allevata da tutti e vivrà con tutti, passando a vivere da un appartamento all’altro a turno. 
La storia, da questo punto in poi, intreccia la narrazione delle vite dei vari soggetti, le loro storie personali, la loro vita privata e comune, i problemi di coppia, i segreti, i piccoli misfatti, con  le tappe della crescita di Mandorla, anche questa non semplice e lineare.
Filo conduttore è il dubbio su chi possa essere il padre di Mandorla e questo contribuisce non poco a creare disordine  nel rapporto collettivo fra tutti, come  negli equilibri intimi dietro la  porta chiusa di ogni appartamento.
La vita della bambina, che diventa poi adolescente, non è una brutta vita, ma il disorientamento è grande, sia per il fatto di non avere una vera stabilità, sia perché nelle tappe, naturali ed emozionali della sua crescità, questo caos relazionale, pesa molto, come pesa, una volta rivelato, il continuo interrogarsi su chi fra loro sia il padre. Cosa che, se acclarata, darebbe alla sua vita, quell’ ordine e quella stabilità affettiva ed emozionale di cui sente il bisogno.
Questo racconto è, a mio avviso, un esercizio narrativo non semplice, per la complessità del tenere insieme, l’evoluzione e l’intreccio delle storie e delle vite di tutti i personaggi e una vera scommessa. Il rischio di perdersi nella giungla delle situazioni o di scadere in banalità o cali di tensione era reale. Invece mi sento di dire che sono stati un esercizio riuscito e una scommessa vinta. In qualche modo, pur nella sua totale diversità di ambiente e di situazioni, al sottoscritto ogni tanto faceva venire in mente Pennac e la sua sconclusionata famiglia Malaussénne. È così bizzarra e improbabile, la coesistenza, ma soprattutto la gestione della crescita di una bambina, in un gruppo così eterogeneo , che il racconto assume un fascino tutto suo e originale. Vi sono, a volte, elementi di lieve ilarità pur essendo un racconto tutt’altro che comico. Si avverte in generale una sensazione di leggerezza e di buona predisposizione verso tutti i personaggi  e l’ambiente così come descritto.
La scrittura è di buon livello, l’idea è originale, la storia un po’ bizzarra. Insomma si legge con piacere e ci si sente coinvolti e interessati. Nessuna esagerazione, nessuna concessione esagerata al sentimento, nessuna caduta stilistica sul piano narrativo, nessuna parte stagnante o poco scorrevole.
La forza principale di questo racconto sta però nel fatto che, pur non essendo né un giallo né un Noir, ne presenta alcune caratteristiche e la curiosità su come andrà finire è sempre alta. Un racconto che volendo si può “bere in un sol fiato” nel rincorrere la propria voglia di scoprire la soluzione. L’epilogo, assolutamente imprevedibile, ci fa chiudere l’ultima pagina sorpresi e ben disposti a consigliarne la lettura.
     
Giancarlo Bruzzolo

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MARIEMMA
di Alberto Diso
Carra, 2012

Il romanzo si svolge in Grecia, nella splendida baia di Livàdion nell’isola di Serifos, dove il destino sembra attendere il nostro protagonista Moris/Alberto, un uomo non più giovane che naviga da solo con la sua barca e ama trascorrere nelle spettacolari baie greche, dove il sole e la natura dipingono paesaggi straordinari,  le sue estati mediterranee; un po’ come il nostro Autore che vive nei mesi estivi in Grecia,“scomparendo” dal resto del mondo; che ama andare per mare, e che sceglie di scrivere i suoi romanzi, immergendosi  in quella lussureggiante natura. 
Dal passato di Moris emerge qualcosa di irrisolto, come può essere nella vita di ognuno di noi, e il destino, attraverso un banale inciampo lo fa rincontrare con una donna che per lui, negli anni giovanili, aveva contato moltissimo: Mariemma, divenuta cieca in circostanze tragiche, una donna che nasconde un segreto doloroso. Questa donna, ancora bella, con i suoi occhiali neri che la rendono più misteriosa, sembra provenire da un’altra dimensione, da un tempo passato che non è mai diventato futuro. L’inspiegabile destino adesso offre a Moris (nome convenzionale che il protagonista, Alberto,si attribuisce per non svelare la sua identità) in un piatto d’argento una nuova possibilità.
La natura generosa dei luoghi fa da cornice agli eventi e Mariemma, pur immersa nella sua oscurità, ci appare in sintonia con quei luoghi, quei suoni, quei profumi: lei vede con gli occhi dell’anima, così come riconosce Alberto, pur tacendo. La storia magica di due anime che a lungo si sono cercate.
La narrazione racchiude  il leitmotiv dei ricordi che accompagnano o turbano i nostri personaggi, la figura materna presente come anelito d’amore negato dalla vita, la dolcezza dei ricordi pur nella malinconia, le emozioni in un’età già matura, la natura nei suoi aspetti più dolci e affascinanti: il volo degli uccelli, le albe e i tramonti che sembrano fare tutt’uno con lo stato d’animo dei protagonisti; la ricerca della felicità, l’anelito di amore e il desiderio di  una pace appagata.
     
Concetta Murè

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CRACKING
di Gianfranco Bettin 
Edizioni Mondadori, 2019

Cracking è la storia di Celeste Vanni che ha lavorato tutta la vita al Petrolchimico di Porto Marghera, ma è anche la storia di sua moglie Rosi e di tutta l’umanità che vive e fatica in quel variegato spicchio di mondo. Ci sono gli operai, fieri della classe di appartenenza, le loro lotte e le grandi trasformazioni avvenute nel tempo. Ci sono i profittatori, preoccupati solo e unicamente
di arricchirsi sulla pelle di chi sfruttano. Ci sono gli spacciatori, la droga che circola e che, insieme con i miasmi del Petrolchimico, miete numerose vittime, anche fra i giovani.
Celeste, sessantenne e pensionato, è ancora un uomo in rivolta nella fabbrica dei veleni e degli inganni ci dice la copertina, sopra il titolo, ma non è solo. Ha amici e compagni a ricordare quell’ambiente operaio che ha saputo essere espressione di un lungo periodo di vittorie, anche se non sono mancate le sconfitte. Celeste, come l’uomo in rivolta di Camus, respinge prepotenze e soprusi e sa farsi protagonista di una giusta riscossa per sé e per gli altri, in nome di una solidarietà che non conosce limiti anagrafici.
La narrazione segue il protagonista nella sua vita presente, ma ne accompagna i ricordi in un continuo alternarsi che tiene vivo l’interesse senza inficiare la continuità del racconto, anzi rafforzandola fino alla conclusione. Questa, annunciata all’inizio, acquista una forte carica di patos nelle pagine finali: il nostro uomo sale sulla ciminiera più alta della zona industriale e portuale, riuscendo ad attirare sui problemi di chi abita e lavora a Marghera, l’attenzione della stampa e delle televisioni di tutto il mondo.
Il libro alterna pagine interamente impegnate dalla scrittura ad altre con testi in ampio spazio bianco: le prime dedicate alla narrazione, le altre, come quinte di un teatro, sottolineano l’essenzialità di alcuni fatti e li mettono a fuoco come un fascio di luci sulla scena.
Coerentemente con la spettacolarità necessaria, Celeste scende dalla torre soltanto dopo avere issato come bandiera la sua vecchia tuta con due grandi scritte bianche sulle maniche, “Duri i banchi” nella sinistra, antica esortazione veneziana a resistere prima dell’attacco e “No retreat, baby, no surrender”, nella destra.
La durezza della lotta, da una parte, la dolcezza del canto nell’invito di Springsteen a non retrocedere e non arrendersi, dall’altra.
    
Mariantonietta Mariotti

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STORIE INVISIBILI
di AA.VV.
Pubblicato a cura di SeLALUNA, stampato dalla tipografia Cooperativa Sociale Solidarietà, 2017

Il progetto editoriale nasce dalla collaborazione dell’Associazione SeLALUNA e il Circolo Auser A.P.S “Insieme L’Anziano con Noi” di Mestre (VE).

Questo libro è una preziosa raccolta di testimonianze di persone che hanno incontrato nella loro vita l’amianto in un rapporto di amore-odio. “Adoravo il mio lavoro e mi sentivo parte di quella grande famiglia che come una madre ti dà il sostentamento e ti insegna un sacco di cose, per questo la mia delusione oggi è ancora più grande. E’ aver creduto in un ideale che poi mi si è rivoltato contro, ci si sente la responsabilità della vita delle altre persone. Noi facciamo tanta attenzione ma i nostri capi no, non avevano la stessa attenzione con noi. Il mio lavoro era vita per me!”.
Le storie di chi ha lavorato presso Il cantiere navale di Fincantieri di Porto Marghera o di altro stabilimento presso quel polo industriale si intrecciano, hanno punti di partenza simili ma poi ogni storia affonda le radici nel modo di affrontare, o non voler affrontare, il dramma del prepensionamento, la paura di ammalarsi per una lunga esposizione all’amianto, la consapevolezza di avere i giorni contati e segnati da forte sofferenza fisica e psicologica. Queste sono vite invisibili a cui finalmente hanno dato voce le organizzazioni sindacali, le aziende sanitare locali ma soprattutto gli enti di prevenzione. La lotta più impegnativa è stata quella sul fronte della Sorveglianza Sanitaria, della prevenzione e sul garantire ai lavoratori un giusto risarcimento per il danno subito, per se stessi e per le proprie famiglie.

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Beatrice Finco

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MIRADOR. IRÈNE NÉMIROVSKY, MIA MADRE
di Elisabeth Gilles
Fazi, 2011

Mirador è un libro straordinario che mi ha appassionata e di cui consiglio vivamente la lettura.
Gilles Elisabeth, l’autrice, è la figlia minore della straordinaria scrittrice Irene Nemirovskj: ebrea, nata a Kiev, una delle massime espressioni della letteratura del Novecento. 
Con quest’opera, Gilles fa uno splendido omaggio alla madre morta giovanissima - a soli 39 anni  nel campo di concentramento di Auschwitz - tracciandone una biografia intensa e veritiera. Il volume ci fa conoscere l’intera vita di Irene descritta e immaginata nella sua esperienza di donna, figlia, madre e scrittrice nello scenario storico che va dalla Grande guerra alla Seconda Guerra Mondiale. Viene rievocata la Russia dove Irene abitava con la famiglia alto borghese e da dove esiliò dopo la Rivoluzione d’Ottobre per recarsi prima in Finlandia e poi in Francia, a Parigi e da lì in provincia a  Issy-l’Évêque.
Mirador è uno sguardo intimo sui legami di Irene con il padre, con la madre, il marito, le figlie, con il mondo degli editori che le portò fama, con il giudaismo e la Shoah che segnerà la sua fine e quella del marito Michel...
Il testo si divide in due parti: la prima (8 capitoli) ricostruisce la storia personale di Irene fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale; sullo scenario il periodo storico, con accenni alla rivoluzione russa. Tale periodo viene presentato attraverso gli occhi della borghesia ebraica, quella borghesia colta che fu incapace di riconoscere i segni premonitori del dramma che si stava abbattendo sull’Europa e che avrebbe travolto milioni di persone.   
La seconda parte (4 capitoli) è dedicata a Irene che ha lasciato Parigi, con il marito e le figlie, per recarsi in un paesino della provincia francese al fine di sfuggire al dramma della guerra. I vecchi amici le hanno voltato le spalle ma lei continua ad amare la Francia di un amore cieco ritenendo che “…la Francia era un paese fatto per me, il paese della moderazione e della libertà, nonché della generosità, e che mi aveva definitivamente adottato come io l’adottavo” 
(pag. 227). Il padre di Irene l’aveva invitata a lasciare la Francia per seguirlo in America, ma lei aveva deciso di restare perché riteneva fosse quella la sua nazione. ”So di aver fatto la scelta giusta non ascoltandolo: la scelta della sicurezza, della pace, della moderazione. Qui non rischiamo più nulla…”(pag. 228). Errore gravissimo. Irene e il marito furono deportati e morirono ad Auschwitz nel 1942. Le figlie Denise ed Elisabeth si salvarono. 
Ho trovato straordinario l’inserimento di frammenti in corsivo, prima di iniziare i capitoli e in chiusura dell’opera. Lì compare Elisabeth Gille, bambina in fuga che perde la madre a soli cinque anni e che non perdona per aver sottovalutato il pericolo incombente della Shoah. Tali frammenti sono pennellate narrative drammatiche e incisive e scritte in terza persona.
Sono rimasta affascinata dall’architettura del libro: è scritto in prima persona - come un’autobiografia -, ma Irene lascia che sia la voce della figlia a raccontare della propria vita. Ne esce uno “straordinario autoritratto”, insieme una “biografia sognata” (mémoires rêvés come scritto nel sottotitolo dell’edizione in francese).
In Mirador, nel gioco tra prima e terza persona c’è la madre Irene che ritorna a parlare di sé (dopo la morte) e c’è la figlia Elisabeth che riesce finalmente a parlare di sé dopo il silenzio dettato da un timore reverenziale verso la madre, grande scrittrice.
Mi sono chiesta perché nel titolo compare mirador, parola spagnola che significa belvedere, veranda. Ne ho dedotto che Elisabeth Gilles abbia voluto mettere in chiaro, a noi lettori, che lei sa e vuole osservare anche dal di fuori sia la propria infanzia che l’anima e le passioni della madre. Per non dimenticare. “Ha compiuto il lungo viaggio e rievocato l’irrevocabile… E lascia parlare la storia” (pag. 331)
Un’architettura narrativa strepitosa che inizia e finisce con il profumo dei tigli. Fantastico!

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Daniela Barzan​

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RESTO  QUI 
di Marco Balzano
Einaudi, 2020 

E’ un romanzo storico che l’autore dedica a una comunità  altoatesina della Val Venosta, territorio divenuto italiano dopo la Prima mondiale, vicino al confine con Svizzera e Austria. Durante il ventennio fascista e negli anni della seconda guerra mondiale la popolazione si sentiva più affine e vicina alla Germania che all’Italia ma insegnare il tedesco era reato. 
Si racconta la storia di Trina, della sua famiglia e degli abitanti di Curon e Resia, paesi che vennero sommersi dall’acqua di una diga nel 1950 (diga i cui lavori erano iniziati 11 anni prima ). Quindi storia di una famiglia e insieme di una intera comunità  sullo sfondo di una verità storica.     
Balzano ha lavorato a lungo per ricostruire la vera storia di Curon e della comunità altoatesina che lo abitava attraverso testimonianze, esperti di storia locale, documenti, ricerche d’archivio e ha saputo magistralmente intrecciare nel suo libro i fatti storici con gli aspetti romanzati dando al tutto forza e coerenza narrativa così da meritare il premio Rigoni Stern nel 2019. 
Trina è la voce narrante- personaggio nato dalla fantasia di Balzano-: una donna  che insieme a suo marito Erich e ai paesani ha subito il potere degli italiani fascisti, prima, e dei nazisti, poi.

Racconta la non appartenenza né agli uni né agli altri e la lotta per conservare intatto quel luogo chiamato casa. L’escamotage per il racconto sono i pensieri, le parole che Trina scrive a Marica, la figlia scomparsa, portata in Germania dagli zii, ammaliata dal fascino del Reich. E attraverso le sue parole scopriamo di quando era ragazza e studiava per diventare maestra, di quando l'avvento del fascismo le ha impedito di insegnare perché di madrelingua tedesca, ma lei lo faceva lo stesso, di nascosto, nelle scuole clandestine rischiando ogni volta la prigione se non peggio. 
Essere Atesini nel primo dopoguerra fascista significava non veder riconosciuto neppure il proprio nome di battesimo, le nenie, i canti, le preghiere, la lingua dei padri e delle madri, persino veder cambiato il nome sulle lapidi. Ma senza lingua non c’è identità. 
Possiamo dire che in quelle valli, prima che altrove, è cominciata la Resistenza quotidiana al fascismo. 
Nel romanzo, oltre a Trina, sono presenti altre splendide figure femminili. Per questo al lettore è offerta una opportunità di riflessione sul coraggio e la resilienza delle donne, il loro andare avanti comunque a dispetto dei dolori e delle avversità . Riporto parole di Trina: “Andare avanti, come diceva Ma’, è l’unica direzione concessa. Altrimenti Dio ci avrebbe messo gli occhi di lato. Come i pesci”.
Le vicende dolorose dei  personaggi, montanari tenaci e coraggiosi della valle, diventano il pretesto per parlare dell’arroganza del potere e dell’ipocrisia della politica. Un bel libro, una storia civile attualissima.

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Daniela Barzan

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IL POTERE DELLA GRATITUDINE
di N. Carbone, A. Vitali, P. Barbanti e G. Graffigna
Editore IL SOLE 24 ORE 

Ho appena finito di leggere un libro che ho trovato saggio e piacevole. Saggio nei contenuti, piacevole nella lettura. 
Si tratta di una riflessione sugli effetti positivi che il sentimento di gratitudine provoca sulla nostra salute mentale e fisica. Nasce dal contributo del programma di RADIO 24 dal titolo “Obiettivo salute” condotto da Nicoletta Carbone, che ha anche proposto di raccogliere  piccole storie di ordinaria gratitudine. 
Piero Barbanti, per le neuroscienze, e Guendalina Graffigna per l’aspetto psicologico, spiegano “scientificamente” la positività di questo impulso che ci aiuta a star bene e che quando non risulta essere prevalente in una persona può essere comunque sviluppato e… “insegnato”. Andrea Vitali narra gli episodi raccolti sotto forma di brevi racconti (quindici) spesso legati al problema COVID 19, che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo in questo periodo.
E’ un testo semplice e complesso nello stesso tempo: ci spiega come la gratitudine ci faccia bene e ci faccia star bene, più di una terapia o di una medicina. Ci fa capire come la gratidune generi a sua volta gratitudine, offrendoci una prospettiva diversa (e migliore) e aiutandoci anche a valorizzare  quegli aspetti della nostra esistenza che spesso diamo per scontati, ma che possono invece essere fonte di consolazione e di speranza.
I racconti di Andrea Vitali integrano questi contenuti offrendoci un sorriso, anzi quindici sorrisi,  che, di questi tempi, costituiscono  già un regalo prezioso.

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Elena Galimberti

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IL LIBRO DI  MUSH di Antonia Arslan.png

IL LIBRO DI  MUSH 
di Antonia Arslan

Ed. Skira, 2012 

Nel genocidio del 1915 il popolo armeno fu quasi distrutto e gli fu tolta la terra. Furono cancellati, dalle armate turche, con puntiglio e cieca determinazione, i monumenti, le chiese, gli antichissimi cimiteri, i palazzi. Venne cancellata una grande civiltà ma nei pochi superstiti sparsi per tutti i continenti non è mai venuta meno la resilienza per dichiarare al mondo che gli Armeni non rinunciano alla loro identità di popolo, sicuri che la Storia avrebbe riconosciuto e dato visibilità alla tragedia del genocidio. Nella distruzione totale assume una importanza simbolica, straordinaria, la sopravvivenza, che ha del miracoloso, del celebre manoscritto del 1202 – il più grande manoscritto armeno esistente - che fu tesoro del monastero dei Santi Apostoli-, detto anche il Libro di Mush. Nella valle di Mush furono sterminati circa centomila armeni e i pochissimi sopravvissuti riuscirono a raggiungere la zona occupata dai Russi. Tra questi, un gruppo di 5 fuggitivi  che avevano perso tutto, casa e  famiglia, hanno fortunosamente recuperato il libro tra le macerie di un monastero incendiato dai Turchi, un tesoro di inestimabile valore e con determinazione sono riusciti a portarlo in salvo. Bisognava salvarlo ad ogni costo. Erano tre donne, un bambino, un uomo - ridotti a 2 alla fine del viaggio -. Grande e troppo pesante, hanno diviso il manoscritto in due parti e così portato in salvo . Il Libro fu ricomposto negli anni Venti. In quell’avventura eroica si declina un momento altissimo della resilienza del popolo armeno fiero della sua terra e delle sue tradizioni. 
Le donne e un libro:  le prime  le donne- simbolo di “continuità”, di coraggio, di tenacia, garanzia di futuro perché portatrici di vita, il secondo - il libro- simbolo di continuità perché scrigno della parola scritta, granaio di storia, di passato presente e futuro. 
QUALI SIMBOLI PIU’ EFFICACI PER CAPIRE LA RESILIENZA! 
Arslan con la sua opera “IL LIBRO DI MUSH” ha scritto l’ultima storia dell’antichissimo Libro armeno. La scrittura di Antonia è capace di forti suggestioni; è semplice e robusta insieme, a tratti permeata di liricità; in alcune pagine diventa quasi scultorea e dà corpo, plasticità alla paura, alla desolazione, al dolore; gigantesca nel delineare le figure femminili della terra armena capaci di un’impresa quasi incredibile, testimoni irraggiungibili di resilienza. Pennellate di parole che cementano, pagina dopo pagina, il rispetto per un popolo.
Un libro che ho letto già tre volte e del quale amerei parlare con voi, lettori amici.

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Daniela Barzan

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LE NOSTRE ANIME DI NOTTE
di Kent Haruf  
NN Edizione, 2017

…per attraversare insieme la notte

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Si tratta di un piccolo volume che tocca un tema di grande attualità  che, con il passare del tempo, è destinato a diventare sempre più un problema, non solo personale, ma di tutta la società: è quello della solitudine e dell’emarginazione degli anziani.
La storia inizia con una vedova settantenne che, esasperata dalla solitudine, bussa alla porta di un vicino, un professore in pensione, per offrirgli ospitalità in casa sua e trascorrere insieme quelle lunghe ore di buio notturno, parlando delle loro vite.  Proposta azzardata, si potrebbe dire, ma lui accetterà e avrà inizio, così, quel colloquio di anime che porta sollievo ad entrambi. Naturalmente la frequentazione notturna viene subito notata e criticata nella comunità in cui essi vivono, finché anche la figlia di lui e il figlio di lei, pur vivendo altrove, ne vengono a conoscenza. L’unico felice della famiglia è il nipotino di lei, che vive meglio le vacanze con i due anziani: la nonna e il professore, che con i suoi genitori.  Alla fine la figlia di lui, Holly, interviene affinché la frequentazione venga interrotta e il figlio di lei, addirittura, dice che il comportamento del professore è motivato solo dal miraggio del denaro della madre.
Il lettore  può capire da sé quanto questa esigenza di affetto, ancor più dell’amore e oltre l’amore fisico, sia ancora viva negli anziani, ma questo viene condannato e deriso dalla mentalità culturale di oggi.
Inoltre, più si sente vicina e pressante la fine della propria vita, più si ha il bisogno di accelerare, di fermare  il proprio tempo, prima di cadere nella notte senza fine  della morte.

Libro bellissimo e commovente, scritto con linguaggio semplice e chiaro, ambientato in un paese immaginario: Holt, in Colorado, con punteggiatura molto personale che dà rilievo a ogni anche piccola sfumatura delle emozioni, laddove attraverso la vicinanza dei corpi si toccano  e vibrano i moti dell’anima.
Ne consiglio caldamente la lettura.


Marialisa Gentili

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